La Corte territoriale ha rilevato che il quadro probatorio raccolto (composto dall'acquisizione di una relazione investigativa, dall'analisi dei GPS installati sui mezzi di raccolta dei rifiuti guidati dal dipendente, dalla deposizione di diversi testimoni) ha dimostrato che il lavoratore, durante l'orario di lavoro, si era trattenuto presso diversi pubblici esercizi-bar per un periodo di tempo che eccedeva l'arco temporale previsto dall'art. 8 del d.lgs. n. 66 del 2003 e dal contratto di lavoro. Con particolare riguardo all'utilizzazione degli esiti della relazione investigativa, la Corte territoriale ha sottolineato che il controllo era stato delegato solamente dopo il sorgere del sospetto, da parte del datore di lavoro, della violazione di obblighi derivanti dal CCNL e dal contratto individuale e di comportamenti che integravano una condotta fraudolenta (in specie con riguardo alla giornata in cui il servizio era terminato con largo anticipo e il lavoratore aveva trascorso il resto del turno di lavoro presso un esercizio pubblico, per poi far rientro in cantiere e compilare il foglio presenze in corrispondenza dell'orario finale); il personale investigativo era stato incaricato dalla società dopo che erano state constatate - tramite i sistemi di controllo a distanza-GPS installati su tutti i mezzi di raccolta come da espressa previsione del Capitolato di appalto - frequenti soste durante lo svolgimento dell'attività lavorativa, condotte che erano suscettibili di incidere sul patrimonio aziendale (nonché sull'immagine dell'azienda) alla luce degli obblighi assunti nei confronti del committente (di regolare e diligente svolgimento del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti). In ogni caso, la Corte territoriale ha ritenuto che la prova delle condotte contestate al lavoratore era raggiunta mediante la prova testimoniale resa dal titolare e dal dipendente dell'agenzia investigativa, prova di cui, la parte interessata, non aveva dedotto né l'inammissibilità (prima della raccolta delle deposizioni) né la nullità. La Corte di appello ha, poi, ritenuto proporzionato il provvedimento espulsivo rispetto all'infrazione disciplinare contestata avuto, complessivamente, riguardo alla natura della violazione, alla loro reiterazione (che aveva determinato un richiamo da parte della committente nonché precedenti provvedimenti disciplinari), alle modalità della condotta e all'elemento soggettivo del lavoratore, anche con riguardo alla scala valoriale dettata dalle parti sociali in tema di sanzioni disciplinari e senza che potesse influire la patologia sofferta dal lavoratore sia in quanto comunicata dopo la contestazione disciplinare sia perché non appariva funzionalmente collegata al notevole prolungamento (presso gli esercizi commerciali) delle soste; ha, infine, ritenuto che nessun rilievo potesse assumere la mancata esposizione del codice disciplinare, trattandosi di violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro - La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
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